Immagine della recensione dello spettacolo Sybil
Ph Luca Meola

Sybil, Una donna divisa tra molteplici esistenze

in Teatro

Nell’ambito della stagione teatrale 2022/2023 di PACTA. dei Teatri vi presentiamo la nostra recensione dello spettacolo Sybil, una donna divisa fra molteplici esistenze. Dramaturg dello spettacolo è Livia Castiglioni. La regia è firmata da Silvia Giulia Mendola. Le interpreti sono Federica Bognetti e Silvia Giulia Mendola. La storia narrata nell’opera si ispira a un caso reale.

Il pensiero, decisamente, recensendo questo spettacolo, va a Pessoa, e a tutta la numerosa orchestra di eteronimi. Non di pseudonimi si tratta, ma veri e propri altri-da-sé, con la patente di riconoscimento di un personale pronome. Sybil, la protagonista di questo lavoro teatrale, incarna un autentico caso psicoterapeutico di personalità multipla: il primo che abbia permesso di cartografare questo fenomeno, e di inserirlo, a buon diritto, nel libro delle psicopatologie. Sybil è ben più di un’ Anna O. di freudiana memoria, Sybil incarna molti personaggi che vogliono obliare il loro autore. Corregge, idealmente, la frase rimbaudiana l’io sé un altro; in l’io sono gli altri, tutta la svariata gamma di embrioni di personalità che ognuno di noi si porta dentro. E’, dunque, fatale che  lo spettacolo si arricchisca di una dimensione profondamente metateatrale, entrando nel vero e proprio cuore di tenebra del lavoro dell’attrice su se stessa.

In quel magma ribollente di subpersonalità, fanno mostra di sé immagini archetipiche, tarocchi junghiani che vivono nella psicologia del profondo. La protagonista dimostra quanto sia vaga e, citando Hillman, vana la fuga dagli dèi, dal momento che questi ultimi sono più vicini a noi della nostra stessa giugulare; sono il nome donato a forze, energie psichiche che, altrimenti, agirebbero attraverso il codice cifrato dell’inconscio. E davvero, sfila davanti alla platea un intero pantheon di personaggi interiori che trovano domicilio in un singolo foglio. Sans papiers della coscienza vigile, clandestini nella terra che dovrebbe essere la loro patria, si raccontano con la struggente tenerezza di una foglia che per un lungo, lunghissimo, istante, prende coscienza della propria precarietà, nella terra autunnale della via verso la guarigione. Come HAL di 2001, queste identità hanno paura di svanire, di morire a se stesse e agli altri, hanno il fiore in bocca pirandelliano.

Immagine della recensione dello spettacolo Sybil
Ph Luca Meola

Chiedono alla psicanalista e, tramite lei, a tutta la platea, di contare i ciuffi d’erba fuori dal teatro, e di cercare di contarne molti, perché quello è il loro tempo di vita. L’intuizione eccezionale che si accende attraverso Sybil è che i personaggi sono animule vagule e blandule, sono delicati quanto bozzoli di seta, fragili e insieme forti, impermanenti quanto e più di noi; ma raccontano, come nessun’altra forza potrebbe raccontare, la poesia definitiva, che fa male, quella rosa che ha le spine, quel dolore che si sublima in un taglio nella tela del nero esistenziale, per lasciare uno squarcio di luce dell’altro, dell’indicibile. Nello scheletro di una stanza, che vagamente richiama un rompicapo irrisolvibile di Escher, avviene un dialogo socratico, in cui Socrate, la psicanalista, deve dismettere l’inamidato setting e cercare altre strade, altre parole per guarire la sua paziente. Questo è il bello delle storie psicanalitiche.

Come aveva genialmente intuito Mishima, questi racconti si candidano naturalmente ad essere delle storie noir, thriller, delle detective story, dove la verità si nasconde dietro il fumo di una sigaretta, si lascia inseguire, depista con falsi indizi, sfugge, si dimena, e poi, catarticamente, si scioglie in un abbraccio, facendo la pace con se stessa e con il resto del mondo. Il trauma che ha frantumato il cristallo dell’io è terribile, superiore a quello che la più cupa tragedia può nascondere dietro la parete della skenè. Gli anticorpi per un male assoluto non possono che essere radicali quanto lo è la malattia: e allora, ecco la fuga dagli dèi, il rocchetto di Hans che si moltiplica in più fili, nel gioco dell’avanti e indietro di molteplici personalità. Se l’io, come ricorda Freud, è un precipitato di cariche oggettive, ha già un’origine nevrotica.

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Ph Luca Meola

Nasce da una frustrazione; a maggior ragione, ciò vale per gli ego nati allo scopo di sopportare un dolore intollerabile, che non potrebbe essere sorretto da una sola, fragile, identità. Silvia Giulia Mendola è una Sybil in stato di grazia, un essere proteiforme, che modella la sua anima su quella delle varie personalità, e non trascura alcun fonema, gesto, intenzione per costruire al meglio ognuna di esse. Silvia va dove non si tocca, e nuota meravigliosamente. Suona con maestria ogni strumento di questa particolarissima sinfonia interiore, e ha una speciale seta nei suoi sguardi, , così sottile e leggera che si ha quasi paura che basti un fiato, dalla parte della platea, a stravolgerla. Silvia ha certi occhi che ti abbracciano delicatamente, perché hanno paura di farti male; dice sì, come la Molly joyciana, alla vita di tutti i personaggi, e tutto questo si sente.

Federica Bognetti riesce a condurre se stessa e, insieme, gli spettatori, nel viaggio pieno di stupore e sgomento, che conduce, dal freddo approccio terapeutico della mente scientifica e speculativa, all’incontro che si contamina piacevolmente dell’irrazionale, che deve letteralmente inventarsi una via altra per trovare la soluzione dell’enigma. A poco a poco, spezza la sua verticalità, si piega, dando al gesto uno stupendo valore metaforico. Forma, naturalmente, la scultura vivente di una Pietà del Bernini, l’immagine corporea dove far traguardare questi torrenti impetuosi dei vari flussi di coscienza. I suoi fonemi hanno il tepore confortevole di certe mani femminili, capaci di cambiarti il colore dell’anima accarezzandoti appena il viso. La sua voce abbraccia la dimensione ventrale, è sicura e confortante: un mantra terapeutico che ti entra sotto la pelle, e che accoglie senza giudizio o senza incertezze. Gli applausi, generosi, sul finale dello spettacolo, sono tutti meritati.

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Ph Luca Meola

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