Immagine di Caligula's party
Ph Marcella Foccardi

Caligula’s party – Recensione Teatro

in Teatro

Nell’ambito della stagione 2023/2024 del Teatro Elfo Puccini vi presentiamo la nostra recensione dello spettacolo Caligula’s party. Lo spettacolo è liberamente ispirato a Caligola di Albert Camus. Creazione e performance sono a cura di Chiara Ameglio. La drammaturgia è firmata da Aureliano Delisi. Ha collaborato alla creazione Marco Bonadei. Le musiche ed il progetto sonoro sono curati da Gianfranco Turco. La voce di Caligola in epigrafe è un dono di Ferdinando Bruni.

C’è un’intuizione potente, dietro questo spettacolo: unire una danza, libera, dito medio tersicoreo contro tutte le comfort zone teatrali, e la figura del Caligola di Camus. Entrambe le esperienze partono dall’assunto che si debba trovare l’assoluto immediatamente nel corpo, un’estetica fatale, una bellezza che porta con sé i germi della criminalità. Ecco che, allora, la torsione del corpo stesso, i suoi spasmi, le sue dinamiche alla ricerca di spazi non euclidei sono il tentativo di far dinamitare la semantica, di aprire alla carne un varco di luce, fosse pure quella di Lucifero. E si presenta così, Chiara Ameglio, in scena: creatura d’ombra, mossa da spasmi, da un’elettricità che scende giù, giù, lungo le vertebre della scena, per animare, via via, questa sposa di Frankenstein che sputa in bocca al cielo, e uccide i chiari di luna meglio di Marinetti.

Lo fa con un taglierino con cui offre la sua virilità surrogata di due molli palloncini, sacrificati come, un tempo, i mandarini, in segno di assoluta fedeltà all’imperatore. Questo corpo che, di quando in quando, si fa voce fassbinderiana più fredda della morte, catturato nella sua danza di thanatos e  potere, sembra una mutazione, una figura deformata di Bacon, irresistibilmente inquietante. Possiede anche l’essenza di una figura asciutta, sacrificata della pittura di Schiele, che incontra il pop del Novecento, i fumetti di Lichtenstein, e il blu libertario di Klein, adattissimo per gli appetiti, al di là del bene e del male, di Caligola. Ma sa sorprenderci la protagonista, e si siede beckettianamente sulla scena, come una crudele Winnie, una miss Hyde del teatro dell’assurdo, che, insieme a un panino, consumato nel più assoluto silenzio, mangia la Poetica di Aristotele e tutte le regole del teatro insieme.

Immagine di Caligula's party
Ph Marcella Foccardi

Ci tiene lì, nell’imbarazzo di uno sguardo in camera fissa, e, meravigliosamente, si ha la sensazione che i due poteri, quello dell’interprete e quello dell’imperatore, si possano sovrapporre. Allora il disagio diventa un’esperienza vivificante, da cinebrivido: lo schiaffo di una mistress che, con lo sguardo, ci chiede se ne vogliamo ancora. Intanto dei palloncini , dipinti idealmente di nero da una silenziosa voce di Mick Jagger, sono i sozzi bubboni manzoniani, sono simboli di un potere che produce globuli neri, uteri oscuri, o gravidanze isteriche di utopie, di esseri umani che vengono fatti letteralmente esplodere in un oplà. Non se ne abbia a male la Bertè, ma disperatamente vuole la luna, questo imperatore, dionisiaco per necessità, apollineo per distrazione. E vederlo inseguire l’ombra è, insieme, qualcosa di poetico e crudele. Da qualche parte, nel più remoto nord della platea, potrebbero spuntare gli occhi sfavillanti di Artaud.

Lo si scopre nell’atto di certificare una crudeltà che abbia, finalmente, il coraggio di gettare secchiate di vernice sulle visioni di palcoscenico predigerite. E poi ci sono le ombre, e che ombre. Vediamo, sul fondale, crearsi la figura oscura di un corpo fatto di realtà aumentata, cui proprio non gliene fotte nulla di uscire dalla caverna di Platone; anzi, diviene ombra esso stesso, per fare della menzogna la più vera delle verità. E’ fatale, a questo punto, che sotto la lama, la lingua appuntita mostrata come per un Einstein truccato da strega macbethiana, cada anche la membrana della quarta parete. Basta un “luci in sala”, per avvertire, in platea, quel brivido caldo di confusione che fa arrossire. Si realizza il miracolo, o, meglio, l’essenza della teatralità, costituita, nei suoi momenti migliori, proprio dal desiderabile pericolo di essere, letteralmente, toccati dall’interprete. L’ipoteca tattile è lì, sospesa, come una spada di Damocle, sulla testa.

Immagine di Caligula's party
Ph Marcella Foccardi

E’ una siringa infetta attaccata ad un chewing gum, che una luce al neon sta facendo sciogliere. Provoca, urla, taglierebbe la gola persino ad Occam col suo rasoio, pur di raggiungere la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. Di nuovo il potere, di nuovo l’immagine sovrapposta del potere illimitato esercitato su di una reggia, o su di un palcoscenico. E avere il microfono di Caligola è un po’ come stare dalla parte giusta di un dialogo socratico: significa mettersi il cappello del berretto a sonagli, bonificato dall’ironia pirandelliana, ma sporco di luce rossa, di sangue elettrico. Verità o fantasia? Si tratta di immaginazione sadica offerta per la catarsi di tutti noi, per la nuova ed eterna alleanza con gli spettatori. La protagonista intona, con il corpo e con caustici fonemi, per un’ora, la sua personalissima versione di Master and Servant dei Depeche Mode.

Ci immagina, caligolianamente, tutti ai suoi piedi, mentre lei ci tratta come cani, e ci ordina di adorarla. D’altra parte, each men kills the thing he loves; lo dice Wilde, e lo ribadisce Fassbinder, attraverso la malinconica voce di Jeanne Moreau. E, tra un abbraccio e un deliberato soffocamento, c’è giusto lo spazio di un vertiginoso senso di libertà. Non c’è alternativa all’adorare questa creatura, che si ricopre con la vischiosa pece dell’assoluto. Sì, perché alcuni dèi, ormai, si devono essere rotti il collo sulle scale “Euripide”, quindi non rimane che incarnarli. Appare, perciò, una Venere callipigia molto punk, irriverente e transgender quanto un personaggio di Copi. L’ultimo testamento verbale dello spettacolo suona come il lamento feroce di Flaubert, solo che qui, a vivere per sempre, non sarà Madame Bovary, ma quella puttana di Caligola; mentre noi spettatori moriamo, portandoci in tasca la preziosa luce oscura di questo spettacolo.

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Ph. Marcella Foccardi

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