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Tip Tap Story – Recensione Teatro

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Immagine della recensione dello spettacolo tip tap story

Nell’ambito della rassegna Portiamo il teatro a casa tua, ideata e creata da Mariagrazia Innecco, vi presentiamo la nostra recensione dello spettacolo Tip Tap Story con Luca Mattioli, in arte Lukelly, la regia è curata da Sergio Scorzillo.

Parlare in scena di tip  tap, fatalmente, diventa farlo, come se si accumulasse una sorta di carica elettrica, energetica, in corpo, o meglio un surplus di anima che deve necessariamente vivere in un ritmo, scaricarsi in quel suono, che fa del piede bacchetta, e del pavimento pelle di tamburo. Tutto questo il protagonista di questa pièce, Luca Mattioli, in arte Lukelly, lo sa bene, e si presenta in scena in punta di piedi, con cuore leggero, pronto a farsi tutto questa danza, capace di sommare al suo interno, le latitudini dei ritmi africani e la debordante gioia del clog irlandese. Sarà per questo che, assistendo ad una perfomance di tip tap, ci si sente trascinati da un vortice di emozioni forti, di sorrisi capaci di far piegare le labbra in una curva gentile, anche all’esistenza più seriosa ed austera. Ci si sente, dalla parte del pubblico, una sorta di Arianna.

E, proprio come lei,  ci si ritrova travolti dall’onda coreutica di Bacco e del suo seguito. E lo swing è dato da quel ritmo, quel ticchettare dei tasti di un’umanissima macchina da scrivere sopra il foglio bianco del palcoscenico, di questa irresistibile, e faticosissima, danza. Ecco, muovere i piedi equivale qui a scrivere un racconto, dando al proprio creare lo stesso fraseggio emotivo che si sta costruendo, si viene a creare un’affinità elettiva tra il piede ed il pavimento, un gioco fatto di presenza e di assenza. Tutte le filosofie, tutti i possibili mondi sono compresi in questo gioco, c’è la fisica e la metafisica, c’è l’immanente e il trascendente; questa certezza vive in certi salti dove persino la forza di gravità smette di essere una costante, e diviene una semplice possibilità. E’ una pioggia di percussioni, la stessa pioggia  che scorre sul fondo della scena, di fronte al memorabile danzare di Gene Kelly, che canta sotto la pioggia.

Immagine della recensione dello spettacolo tip tap story

Sembra, e la pellicola trasforma, in effetti, il sembrare in essere, che non ci sia stato un prima o che non ci sarà un dopo, ma che, tolto pezzo a pezzo tutto il possibile passato e tutto il possibile futuro, rimanga un incorporeo, eppure vivissimo, presente di quella coreografia così necessaria, così irresistibile. Diventa il modo più diretto, più immediato, di esprimere una potentissima joie de vivre, in un rito di vita che ne esprime l’essenza. Il protagonista non può far altro che riprodurla consumando, spremendo letteralmente il suo corpo, goccia di sudore dopo goccia; e con la fronte rorida, rubando come un ladro galantuomo, anche l’aria che non c’è, per i sui generosi polmoni, sorride con amorevole gentilezza ai capitali generosi di applausi del suo pubblico. Scrivo “suo” perché diventa suo, viene portato in una sorta di stato alterato di coscienza, di ipnotico rito sciamanico.

Questo atto è in grado di piegare il tic tac del tempo nello spazio incurvato, non euclideo, del tip tap. Ma Lukelly, parla, introduce, e il suoi fonemi sono una luce che non ferisce gli occhi, una di quelle luci che si fanno d’atmosfera, come se sulla sua laringe mettesse un delicatissimo foulard. Nessun bronzo nella sua voce, solo la volontà di esprimere, a parole, i segni di questa sensazionale passione, mostrando spezzoni di film, ballandoci sopra in un una sovrapposizione stupenda. Le ombre diventano cosa salda, persino quelle plumbee e tristi della caverna platonica si mettono a fischiettare, a tippettare. Gioca con un bastone, una bacchetta delle magie di Cotrone, che qui diventa un modo di creare una coreutica punteggiatura. Il regista Sergio Scorzillo, presente in scena come “deus in machina“, per organizzare tutta la téchne di questo spettacolo, guarda con fascinazione la sua creatura.

Immagine della recensione dello spettacolo Tip Tap Story

Osserva, con la purezza dello sguardo d’un bimbo, questo teatro danzante così antico, eppure così vicino a noi, fino a diventare un’arteria del nostro stesso cuore. Riesce a regalarci la felice intuizione di aver voluto concentrare  tutto il rito sul coro, ovvero sul corifeo e sul ritmo con cui entra in scena, anzi con cui è in scena. Parla, interagisce, si fa ponte tra il palcoscenico e la platea. Ha mani generose, robuste, mani da esperta levatrice in grado di cavar fuori le migliori anime dei personaggi. Oltre a regista, potrebbe tranquillamente essere considerato primo spettatore di questo spettacolo. Indica la via per vivere, letteralmente, una sorta di educazione sentimentale, di flaubertiana memoria. Incarna la visione di un monologo ballato e ballante, nel quale le parole, compreso il loro formarsi, il battere della lingua, ora sul palato ora sui denti, trovano la loro catarsi, la loro forma finale, nel battere la punta e il tacco dei piedi sul pavimento. E’ inevitabile, come la risoluzione di una formula algebrica, che questa danza faccia sbocciare fiori di gaiezza sia sul viso dell’interprete, sia in chi lo guarda e lo ascolta. Nel tip tap l’interprete diviene una sorta di boxeur che assalta, con tecnica, con pugni di piedi gentili, che vola al pari di una farfalla, e punge come un’ape, come ricorda, il pugile Muhammad Alì/Cassius Clay. E l’avversario di sempre è l’eterna terra che abbiamo sotto i piedi, sempre idealmente da dissodare, da adattare a pavimento sul quale poter camminare, da compattare, da stimolare, come fa un gatto col suo pigia- pigia sulle mammelle della mamma gatta. Tutto questo miracolo accade nei piedi del protagonista che smettono di essere dei semplici piedi, e diventano le bacchette di legno nelle mani esperte di un batterista jazz, il quale sa che è arrivato il momento del suo monologo. Applausi.

Immagine della recensione dello spettacolo Tip Tap Story
Ph. Massimo Mancini art director

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