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Tiziana Francesca Vaccaro

Sindrome Italia – Recensione Teatro

in Teatro
immagine della recensione dello spettacolo Sindrome Italia

Nell’ambito della rassegna digitale Portiamo il teatro a casa tua, ideata e creata da Mariagrazia Innecco, vi presentiamo la nostra recensione dello spettacolo Sindrome Italia, la storia della badante rumena Vasilica che, dopo aver curato le persone, cerca di curarsi l’anima. L’interprete, che è anche autrice della drammaturgia, è Tiziana Francesca Vaccaro. Le musiche sono a cura di Andrea Balsamo.

Certe volte le parole ci provano a tenere il passo con la vita, ma da sole non ce la possono fare; allora ecco che c’è un attrice pronta a spremere tutto il Dioniso che ha dentro di sé, come un profumato limone di Sicilia, permettendo così al miracolo di avvenire. Il personaggio della badante rumena Vasilica, con in tasca pochi spicci, e uno Ionesco, tutto l’assurdo possibile di un’esistenza al servizio di altre esistenze, pronto a esploderle nelle parole e nei gesti, persino nei silenzi. Ha lo stesso sguardo di Cioran questa donna, lo sguardo triste di una filosofa della vita che, per citare questo pensatore, ha cambiato disperazioni così come si cambia la camicia. Anzi se li  cambia proprio gli abiti, se li infila su, ancora bagnati della placenta dei significati, tutti insieme, strato dopo strato, come la cipolla del Peer Gynt.

E dalla parte della platea, non si assiste semplicemente a uno spettacolo, ma l’odore dei suoni, delle parole, è quello di una cucina irresistibile, una di quelle per cui si rompe volentieri ogni etichetta, e si comincia a mangiare con le mani. Il riso e il pianto non hanno un confine preciso, come certi orizzonti in cui non si riesce a distinguere dove finisca il cielo e inizi il mare. C’è un cortometraggio di Polanski in cui una povera custode di un gabinetto pubblico rivede scene del suo passato, finché appare un angelo a riscattare l’evanescenza dei ricordi; Vasilica un angelo non ce l’ha, ma si arrangia come può, cerca di diventarlo lei, spalancando quelle braccia lunghe, che abbraccerebbero il mondo intero. E a guardarle bene sembrano proprio due ali che hanno una maledetta nostalgia di un cielo che non hanno mai conosciuto. E poi c’è il sorriso, un sorriso definitivamente luminoso,

Immagine della recensione dello spettacolo Sindrome Italia

È un sorriso che viene dalle latitudini del sud, così vero, così abbagliante che ti viene da pensare da dove l’abbia preso l’interprete tutto quel bianco, per dare un avorio così  puro alla sua bocca. E’ una sorta di competizione tra la luce degli occhi e quella del sorriso, ma una competizione leale dove le vittorie si alternano, perché i gareggianti sono di egual bravura. L’io è un altro, insegna Rimbaud, è quello della protagonista si è stretto in un cantuccio, si è rifugiato da qualche parte, per far posto al mondo di fuori. Si percepisce appena Vasilika, e, come il cavaliere inesistente di Calvino conta le pietre per credersi reale, così questa donna conta i suoi ricordi, cerca di fare del suo passato cosa salda. Forse sa, come canta Modugno, che il derubato che sorride ruba qualcosa al ladro.

E proprio non riesce a trattenere in sé un disperato, tenace, desiderio di amare e di essere amata. Sembra uscita dritta dritta da una pagina di Dostoevskij, è una versione al femminile del sognatore che colora con i suoi sogni le sue notti bianche, o un principe Myskin, senza una pelle spirituale che filtri le emozioni, convinto ancora che la bellezza salverà il mondo. Questo monologo ricorda quanto sia unico e meraviglioso il racconto di un’anima, di quella piccola grande cosa che abita il corpo, e cerca di essere, e cerca di dirsi nel mondo. Non è semplicemente una badante, è una creatura pura, un fiore di loto che cresce in uno stagno, senza che l’acqua torbida possa in qualche modo contaminare la sua bellezza. I secchi che costituiscono la scenografia sembrano tre bussolotti, pronti ad invitare la platea con questa particolare versione del gioco delle tre carte.

Immagine della recensione dello spettacolo Sindrome Italia

Sotto quale secchio si trova Vasilica? La risposta è immancabilmente sbagliata, perché trovare l’anima, tenerla così, con sicurezza, nelle proprie mani, come se fosse proprio una carta da gioco, non è facile. Ma poi la risposta giusta viene, il personaggio non è sotto, o sopra, un secchio, è in tutti noi, nel senso di estraneità al mondo che ci circonda, che a volte ci fa sentire proprio come lo Straniero, il protagonista del romanzo di Camus. E quando la voce dell’attrice comincia a graffiare, quando i fonemi diventano pietre che fanno rumore quando cadono, eccome se lo fanno, allora si comprende quanto la vita abbia urgenza di ritrovare se stessa, quanto si abbia bisogno di non perdere continuamente terreno, di trovare un pavimento di certezze su cui camminare, che sia più solido del terreno che ci manca sotto i piedi, lo stesso che il personaggio pirandelliano ci ha attribuito una volta e per sempre.

Tiziana Francesca Vaccaro, autrice anche della drammaturgia, è una di quelle attrici che si fa passare il testo dal ventre, nella carne,e poi lo fa trasudare da ogni poro. Diventa tanti personaggi senza smarrire per un attimo il filo di Arianna del monologo. I vestiti bagnati sono, in realtà, impregnati di vita, e la vita non la si può lavare a secco, la si sciorina all’antica, in un secchio, si lascia che si asciughi al sole, naturalmente. Umide sono le lacrime, umido è il sudore, umida la fatica, e umido il bacio che ha sulle labbra, da donare, come un caffè sospeso, per un’altra creatura speciale. Che sfiancante ginnastica del cuore, mentale e spirituale, compie l’attrice nel dipanare dal rocchetto del proprio corpo questa meravigliosa storia. Alla fine guarda il pubblico regalando un gesto potente, un umile, gentile, sorriso che non può che trascinare la platea verso un forte applauso.

Immagine della recensione dello spettacolo Sindrome Italia

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